Wednesday, November 28, 2007

Il labirinto si dirama in altri vicoli, questo non è ancora, ma presto lo sarà, un vicolo chiuso. Proseguite per di qua:

http//laborintus.wordpress.com


Friday, June 01, 2007

Labirintidi

Per quattro mesi ho fatto altro. E per altro, da neolaureato in Lettere, intendo poco in fondo, anzi poco in superficie. E per superficie intendo sulla terra ferma. Ognuno ha il proprio modo di shiftare (direbbe un mio amico che si è appena sposato) tra la terra ferma e il mare. Ognuno ha il proprio modo di capire quando è ora di tornare in mare, come nessuno meglio di Melville descrive nell'incipit di Moby Dick:

"Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l'oceano. "

Ora, in questi mesi ho trascorso molto tempo con molte persone. Tra queste persone ci sono anche i miei migliori amici, gente strana, comunemente strana. Strani a se stessi, strani tra di noi, strani all'altro che incontrano. Eppure c'è qualcosa di comune, che ci permette di usare parole come fiducia, famiglia (per chi non ne avuta una normale, o in alternativa ad essa), ma definire questo comune d(en)ominatore - perché è qualcosa che ci domina e ci nomina, più di quanto noi dominiamo e nominiamo lui - è difficile. Parlo dei miei amici, ma è una riflessione che ognuno può spendere coi propri, è una fatto di tutti i giorni, che continua a stupirmi.

Nel pensiero DuePuntoZero - che minacciosamente assomilglia nello scriverlo, al Bipensiero di Orwell - accade che cerchi una cosa, magari su Wikipedia, e poi t'incammini per un link, come faresti per un viottolo secondario in una città medievale, che sò, Siena. E allora mentre cerchi la tua Piazza del Campo - nel mio caso il significato di "propriocezione" - finisce che svicoli per un piccolo linkettino blu che dice: "labirinto".

E scopri che ci sono dei pesci africani che hanno al loro centro un labirinto (Labirintidi), un organo che gli permette di respirare anche aria, di trascorrere un po' di tempo sulla terra. Eccoci, penso. Siamo noi, questi piccoli animali a bocca aperta. Così quando penso a R., che - pesce piccolo e muscolare - si spinge all'aperto, nelle pubbliche relazioni, nel precariato, nell'ansia da patentino sociale, vedo le branchie chiuse, e il suo labirinto in azione. E poi Z., che - mentre in mare scrive pensieri con piccole bolle, inventa lessico, produce parole, e tutti lo ascoltiamo in cerchio - sulla terra riproduce parole che non partecipa, grazie al suo labirinto riesce a non vomitare in faccia ai clienti l'inchiostro tossico da cui si sparpagliano i manuali universitari, gli opuscoli per ditte navali, i ciclostilati dei partiti. Et cetera et cetera. Quando li incontro, in superficie, vedo i lineamenti più o meno contratti, in base a quanto tempo mancano dal mare. Non ci diciamo molto, ci salutiamo a branchie strette, sicuri di rivederci sui fondali. E penso che in fondo il nostro labirinto è un organo che ci siamo costruiti toccandoci a vicenda, che ci permette di alimentarci di storie da portare al mare. Il labirinto che siamo ci protegge. I Labirintidi sono un po' ovunque, dall'Australia a Bologna, da Parigi alla Finlandia, si riproducono, mutano clima e abitudini, il solo modo per riconoscerli è toccargli la pancia. Se avvertite strane cartilagini cunicolanti, offritegli dell'acqua - verbale o fisica - e se vedrete distendersi il viso, aprirsi strane feritoie sui fianchi da cui escono strane voci, strani discorsi a cascata come bolle, eccoli.

Avviso ai naviganti: ci si vede in mare!

Thursday, February 22, 2007

Sheep in the fog













Sheep in the fog

The hills step off into whitness
People or stars
Regard me sadly, I disappoint them

The train leaves a line of breath
O slow
Horse the colour of rust

Hooves, dolorous bells -
All morning the
Morning has been blackening.

A flower left out.
My bones hold a stillness, the far
Fields melt my heart.

They threaten
To let me through to a heaven
Starless and fatherless, a dark water.


Pecorella nella nebbia


Le colline sconfinano in bianchezza.
Persone o stelle
Mi guardano con tristezza, le deludo.

Il treno lascia una linea di respiro.
O lento
Cavallo colore della ruggine,

Zoccoli, dolenti campane -
Per tutta la mattina la
Mattina si è andata annerando.

Un fiore trascurato.
Le mie ossa hanno requie, i campi
Lontani mi sciolgono il cuore.

Minacciano
Di assumermi fino a un cielo
Senza stelle né padre, acqua buia.


Sylvia Plath, in
Lady Lazarus e altre poesie, Mondadori, Milano 1998, € 7, 80.

(La tela è invece di Rothko,
Black and Grey)

Thursday, February 01, 2007

Torsioni




“La verità è che il modo scientifico di guardare un fatto non è il modo di guardarlo come un miracolo."

L.Wittgenstein





Sono nei portici, con la sporta della spesa nella destra, un fastidio. E c’è un Gennaio invadente, volgare, che ti costringe a un discorso freddo, a un riparo. Le traettorie del chiunque sono un gioco destra o sinistra, uno sputo quello sguardo da trenta centimetri, che prima di asciugarsi aumenta il freddo. Ma questa è l’ora in cui la mia giornata forma un semipiano. Tra le sei e le sette è la paralisi che attendo. Oggi, alla sprovvista, mi coglie in strada. Esco dai portici, a cinquanta metri da casa, sono le gambe il primo segnale dell’evento. Come acqua calda, che si apra dall’interno, sale alla testa. La testa cade, si appoggia sui pochi muscoli dorsali. Ed è come si spezzasse dal collo, come si aprisse dal collo un occhio polifemico, largo, una sinestesia, in cui la vista si mischia all’aria, più spazio. La lacrima è una contrazione della metamorfosi, il suono che avverte che ora il cielo cade nel collo. Gli occhi normali si vergognano. Un po’ di sangue, prima che cicatrizzi sporca la nuova retina-trachea, nutre un immagine di cielo, la realizza.

(Questo scrivevo lo scorso Gennaio...)

Saturday, January 27, 2007

Una partita a scacchi













"My nerves are bad tonight. Yes, bad. Stay with me.
"Speak to me. Why do you never speak. Speak.
"What are you thinking of? What thinking? What?
"I never know what you are thinking. Think."

I think we are in rats' alley
Where the dead men lost their bones.

"What is that noise?"
The wind under the door.
"What is that noise now? What is the wind doing?"
Nothing again nothing.
"Do
"You know nothing? Do you see nothing? Do you remember
"Nothing?"

I remember
Those are pearls that were his eyes.

"Are you alive, or not? Is there nothing in your head?"
But
O O O O that Shakespeherian Rag--
It's so elegant
So intelligent
"What shall I do now? What shall I do?"
"I shall rush out as I am, and walk the street
"With my hair down, so. What shall we do tomorrow?
"What shall we ever do?"
The hot water at ten.
And, if it rains, a closed car at four.
And we shall play a game of chess,
Pressing lidless eyes and waiting for a knock upon the door.


"Ho i nervi a pezzi stasera. Sì, a pezzi. Resta con me.
Parlami. Perché non parli mai? Parla.
A che stai pensando? Pensando a cosa? A cosa?
Non lo so mai a cosa stai pensando. Pensa."

Penso che siamo nel vicolo dei topi
Dove i morti hanno perso le ossa.

"Cos'è quel rumore?"
Il vento sotto la porta.
"E ora cos'è quel rumore? Che sta facendo il vento?"
Niente ancora niente.

E non sai
"Niente? Non vedi niente? Non ricordi
Niente?"

Ricordo
Quelle sono le perle che furono i suoi occhi.
"Sei vivo, o no? Non hai niente nella testa?"

Ma
0 0 0 0 that Shakespeherian Rag...
Così elegante
Così intelligente
"Che farò ora? Che farò?"
"Uscirò fuori così come sono, camminerò per la strada
"Coi miei capelli sciolti, così. Cosa faremo domani?
"Cosa faremo mai?"
L'acqua calda alle dieci.
E se piove, un'automobile chiusa alle quattro.
E giocheremo una partita a scacchi,
Premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che bussino alla porta.



Da T. S. Eliot, A game of Chess, in The Waste Land, B.U.R., Milano 1982, p. 91. € 7, 23. (La traduzione è però presa da un paio di siti, perché vado un po' di fretta. Tuttavia, quella dell'edizione B.U.R., di Alessandro Serpieri, è migliore, ed è credo tutt'ora quella più curata nell'apparato critico. )


Semplicemente guardando


"La rapida ascesa della fotografia ha anche a che fare, temo, con la nostra sfiducia nel linguaggio; di recente, i contorni reali di guerre e altre barbarie sono stati traditi dalle parole; forse speriamo di poter ritrovare la verità semplicemente guardando."


Da R. Adams, La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 23.

(Lo scatto qui sopra è mio, San Martino di Castrozza, in occasione del concerto all'aperto di Vinicio Capossela, con Paevl)